Moisè VARON
Rebecca YOHAI VARON
Signurù VARON

Moisè VARON – nato a Gallipoli il 2/3/1881 – arrestato 5/12/1943 – assassinato ad Auschwitz il 6/2/1944
Rebecca YOHAI VARON – nata a Gallipoli il 8/4/1882- arrestata 5/12/1943 – assassinata ad Auschwitz il 6/2/1944
Signurù VARON – nata a Gallipoli il 23/1/1914 – arrestata 5/12/1943 – assassinata ad Auschwitz in luogo ignoto

Moisè Varon, figlio di Isaia Varon e Gioia Habib, nasce in Turchia a Gallipoli il 2 marzo 1881. Sposa Rebecca Yohai, nata a Gallipoli l’8 aprile 1882, figlia di Haim e di Signurù Varon. La coppia avrà due figli: Signurù Varon, omonima della nonna materna, nata il 24 gennaio 1914, e Vitali Varon, nato il 22 aprile 1908, entrambi a Gallipoli. Non si conosce l’anno in cui i Varon vengono a stabilirsi in Italia. Vitali Varon risulta a Milano dal giugno 1933.  A Milano, sul finire degli anni ’30, la famiglia vive in un alloggio popolare, nelle “case minime” di Baggio. Moisè è venditore ambulante, Rebecca casalinga, la figlia Signurù trapanista, mentre Vitali, che abita in un altro appartamento, di professione è manovale. L’applicazione della normativa antiebraica fascista colpisce nell’autunno del 1938 anche la famiglia Varon.

Nel 1942 i loro nomi risultano tra quelli degli ebrei orientali di cittadinanza italiana residenti a Milano. È proprio nel capoluogo lombardo che il 5 dicembre 1943 Moisè, Rebecca e Signurù verranno arrestati. Detenuti a San Vittore, ne verranno prelevati il 30 gennaio 1944 per essere deportati con il “Trasporto 24”, formato nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano. Raggiungeranno la destinazione, Auschwitz-Birkenau, il 6 febbraio 1944. Moisè e Rebecca verranno uccisi all’arrivo, mentre di Signurù, morta in deportazione, non si conoscono data e luogo del decesso. L’unico famigliare superstite, Vitali Varon, nell’estate 1945, risulta, insieme alla moglie e al figlio, tra gli iscritti alla Comunità ebraica di Milano assistiti dall’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza di Milano), in quanto congiunto, in condizioni di bisogno, di “deportati in Germania”.