La Shoah degli ebrei italiani

Con lo sbarco in Sicilia, il 10 luglio 1943, l’Italia meridionale fu liberata dalle forze alleate, mentre il 25 luglio Mussolini venne deposto e incarcerato.

Il nuovo governo fu affidato dal re al generale Pietro Badoglio che firmò con gli Alleati l’armistizio dell’8 settembre 1943. Nel frattempo, Mussolini fu liberato dai tedeschi e condotto in Germania. Da qui ricostituì un governo fascista nella parte centrosettentrionale dell’Italia; fu, quindi, instaurata la nuova Repubblica Sociale Italiana (RSI) che dovette coesistere con le strutture militari, politiche e poliziesche tedesche già presenti in gran parte dell’Italia.

Nella RSI la situazione degli ebrei – circa 33.360 – si fece critica.

Coadiuvati dalle polizie repubblichine, i nazisti diedero inizio ai rastrellamenti, agli arresti, all’assassinio e alle deportazioni di tutti gli ebrei, italiani e stranieri.

Fra il 15 e il 23 settembre 1943, ufficiali del II Reggimento della Panzer Division Leibstandarte Adolf Hitler si resero responsabili dell’assassinio di 54 ebrei nei pressi del lago Maggiore, cui si aggiunsero gli eccidi perpetrati dai repubblichini.

Nello stesso periodo il medesimo reggimento rastrellò nel Cuneese alcune centinaia di ebrei che avevano raggiunto l’Italia seguendo l’esercito italiano in ritirata dalla Francia. Essi furono imprigionati a Borgo San Dalmazzo, consegnati alla Polizia tedesca di Nizza e inviati al campo di transito di Drancy, quindi deportati ad Auschwitz.

Il 16 settembre 1943 i membri della comunità ebraica di Merano furono arrestati e deportati prima in Austria poi ad Auschwitz.

La prima deportazione direttamente verso il campo di sterminio di Auschwitz fu compiuta a Roma, dove vivevano oltre 12.000 ebrei: dapprima i nazisti pretesero che la comunità versasse loro entro 36 ore 50 chili d’oro, quantitativo che fu raccolto con estrema fatica e consegnato il 28 settembre 1943; quindi prepararono un piano studiato nei minimi particolari per penetrare nel quartiere ebraico e prelevarvi gli abitanti. Al comando della retata c’era il capitano delle SS Theo Dannecker.

Il 16 ottobre 1943 il ghetto di Roma fu circondato dalle truppe tedesche che arrestarono 1259 persone. Alcuni furono rilasciati, ma la maggioranza (1022 ebrei), nonostante le caute e tardive obiezioni del Vaticano, fu deportata ad Auschwitz. Di questi, 839 vennero uccisi nelle camere a gas all’arrivo, gli altri furono internati; ne sopravvissero 17 Per opera delle polizie italiana e tedesca, un altro migliaio di ebrei fu scoperto e deportato durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma.

Fra ottobre e novembre il distaccamento operativo di Dannecker organizzò e compì retate in tutte le principali comunità ebraiche dell’Italia centrosettentrionale.

Gli ebrei furono arrestati e rinchiusi nelle carceri locali, quindi condotti alle stazioni ferroviarie di Bologna e Milano e infine deportati ad Auschwitz per esservi uccisi.

Nel frattempo, il 14 novembre 1943, la RSI approvò la cosiddetta Carta di Verona, articolata in 18 punti. In essa si dichiaravano stranieri e nemici gli appartenenti alla “razza ebraica”, dando così formale legittimità allo sterminio degli ebrei d’Italia. Il 30 novembre il governo fascista emanò un decreto di arresto indiscriminato per tutti gli ebrei e il loro internamento in uno speciale campo di concentramento provinciale: in tal modo, legittimando la pratica dell’arresto – che da allora in poi gestì in proprio – la RSI autorizzò anche la deportazione degli ebrei da parte tedesca. Il campo di concentramento nazionale fu istituito il 2 dicembre 1943 a Fossoli di Carpi (Modena) per ordine della Prefettura di Modena; nel successivo febbraio i tedeschi, subentrati agli italiani nell’amministrazione del campo, organizzarono i convogli di ebrei principalmente verso Auschwitz. Complessivamente da Fossoli passarono 2445 ebrei.

Il nuovo responsabile della politica antiebraica tedesca in Italia fu Friedrich Bosshammer che giunse nella sua sede presso la Gestapo-Polizia segreta di Stato ai primi di febbraio del 1944. Alla fine di luglio del 1944, a causa dell’avanzata degli Alleati da sud, Fossoli fu evacuato e fu istituito a Bolzano un nuovo campo per ebrei e prigionieri politici. Gli ultimi ebrei ancora a Fossoli vennero deportati ad Auschwitz dalla stazione di Verona.

Nella zona denominata Zona d’operazione litorale adriatico, sotto diretto controllo tedesco, i rastrellamenti di partigiani ed ebrei furono affidati a Odilo Globocnik capo supremo della Polizia e delle squadre di protezione, coadiuvato da Christian Wirth.

Nella zona industriale, alla periferia di Trieste, la Risiera di San Sabba fu adibita a campo di prigionia e centro di esecuzioni extra legali per antinazisti e ostaggi civili, nonché campo di transito per la deportazione degli ebrei. Nei suoi locali vennero anche ammassati i beni a loro rapinati.

Sotto il comando di Gottlieb Hering e poi di Josef Oberhauser e di August Dietrich Allers, la Risiera ricalcò il modello dei campi della morte per il tipo di esecuzioni e per la gestione interna del campo. Vi morirono oltre 3000 persone in maggioranza partigiani sloveni e croati e, in misura minore, antifascisti italiani. È documentata la soppressione di almeno 25 ebrei.

Secondo la ricostruzione storica condotta da Liliana Picciotto della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, tra il 1943 e il 1945, le vittime della Shoah in Italia e nelle isole dell’Egeo sono 10.348. I sopravvissuti sono 1.017.

8 SETTEMBRE 1943, L’ITALIA FIRMA L’ARMISTIZIO: PREMESSE E CONSEGUENZE

Il 25 luglio 1943, dopo una drammatica riunione del Gran Consiglio del Fascismo tenutasi il giorno prima, la radio annuncia al Paese che il re Vittorio Emanuele III ha accolto le dimissioni del Duce da capo del governo e che al suo posto è stato nominato il generale Pietro Badoglio.

L’illusione ha breve durata e già il 26 luglio, in un proclama ufficiale, Badoglio ribadisce: “ La guerra continua […] Chiunque tenti di turbare l’ordine pubblico sarà inesorabilmente punito.”

Mussolini viene arrestato e imprigionato sul Gran Sasso. La ricerca di contatti del nuovo governo italiano con l’esercito alleato porta all’Armistizio, firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile, vicino a Siracusa, ma reso noto solo l’8 settembre dal generale americano Dwight Eisenhower. Questo lasso di tempo consente alla famiglia reale, a Badoglio e ad altri generali di fuggire da Roma verso la costa abruzzese e di lì a Brindisi, dove stanno sbarcando gli Alleati. La Corona è salva, ma questa vergognosa fuga lascia l’Italia in balia delle truppe naziste, che invadono il centro nord del Paese e il 12 settembre liberano Mussolini e lo portano in Germania. Il 15 settembre Mussolini proclama da Radio Monaco la nascita della Repubblica Sociale Italiana e l’intenzione di continuare la guerra al fianco dell’alleato tedesco e del Giappone. Il Duce torna in Italia e si stabilisce a Salò, sul lago di Garda. Il 14 novembre 1943, al Congresso di Verona, la neonata RSI approva il manifesto programmatico, che ribadisce fra l’altro una spietata politica antisemita, in linea con le direttive fasciste: da questo momento gli ebrei appartengono a “razza nemica”.

In realtà fin dal mese di settembre gli invasori nazisti sono già passati dalla 36 “persecuzione dei diritti” condotta dal regime fascista fra il ’38 e il ’43 contro gli ebrei italiani, alla “soluzione finale del problema ebraico” varata il 20 gennaio 1942 a Wannsee e poi applicata in tutta l’Europa occupata. L’Italia centro-settentrionale diviene teatro di massacri, di delazioni, di rastrellamenti e arresti condotti con efficienza dalle truppe tedesche, affiancate con solerzia dai repubblichini e dalle questure locali, che consegnano ai nazisti tutti i registri aggiornati del censimento degli ebrei d’Italia avvenuto già nell’agosto 1938.

Gli ordini erano chiari e inequivocabili e la caccia al nemico ebraico era aperta, con l’ordine di arresto e di confisca di tutti i loro beni. I fratelli d’Italia ebrei furono nuovamente colti di sorpresa, convinti malgrado tutto che la loro Patria non li avrebbe traditi fino a questo punto.

GLI EBREI D’ITALIA DOPO L’ARMISTIZIO: PERSECUZIONE E REAZIONI

Fra il 1940 e il ’43, nei primi anni di conflitto, la discriminazione degli ebrei italiani avviata nel ’38 diviene sempre più umiliante, ma non si traduce mai in violenza fisica generalizzata da parte fascista, tanto che la maggioranza di loro risiede ancora nelle proprie case. L’emigrazione verso paesi più ospitali è diventata del resto ancora più difficile, vuoi per le limitazioni imposte sulle quote d’ingresso e per l’oneroso costo del viaggio, vuoi per la presenza dell’invasore nazista in quasi tutte le aree confinanti con l’Italia.

I primi a essere colpiti fisicamente dall’invasione tedesca sono gli sfollati ebrei sul Lago Maggiore, che fra il 15 e il 23 settembre 1943 vengono massacrati a Meina.

Poi comincia una politica più sistematica, che consente alle SS, in possesso di tutti i dati rilasciati dalle questure locali, di arrestare senza difficoltà gli ebrei residenti nelle diverse zone occupate, come gli oltre mille del ghetto di Roma, che all’alba del 16 ottobre 1943 vengono sorpresi nel sonno, nelle proprie case. La caccia all’ebreo è resa ancora più facile dall’istigazione alla delazione, che viene ripagata con 5000 lire per ebreo denunciato.

Molti italiani ebrei saranno traditi dai propri vicini. Ma se molti se ne salvano è anche per quella minoranza di confratelli italiani che mettono a repentaglio la propria vita pur di salvare la loro. Ancora oggi si cercano i “Giusti fra le nazioni”, quegli eroi per caso che contribuirono a sventare il progetto nazi-fascista di eliminare dall’Europa la razza ebraica, nascondendoli, fornendo loro documenti falsi, aiutandoli a espatriare, spacciandoli per propri figli o congiunti. Dopo un primo momento di totale smarrimento, gli ebrei cominciano a reagire come possono. La fuga verso la Svizzera, rimasta neutrale, sembra la via più praticabile. Si pagano ingenti somme per essere accompagnati attraverso le montagne fino al confine con il Canton Ticino, dalle zone di Varese e di Como.

In molti vengono però traditi dai “passatori”, che così guadagnano anche la taglia che pende sulle loro teste, e consegnati alla polizia di confine; in molti vengono invece respinti dagli stessi svizzeri e solo alcuni riescono a ottenere rifugio politico. Per coloro che non ce la fanno è l’inizio della reclusione nelle carceri, requisite come luoghi di concentramento, prima della formazione dei convogli che li condurranno ai campi di transito e poi a quelli di sterminio, in Polonia.

Altri ebrei italiani preferiscono tentare la carta della separazione delle famiglie: i bambini vengono spesso affidati ad ambienti cattolici, convitti, collegi, monasteri, ma anche ad altre famiglie italiane. I grandi cercano di nascondersi sotto falsa identità. Ma, come testimoniato anche nel film Fratelli d’Italia?, queste situazioni daranno spesso vita a tragedie, se possibile, ancora più grandi, in cui i figli non sapranno della cattura e della morte dei propri genitori che alla fine della guerra. Alcuni tentano invece di restare uniti, cambiando generalità a tutta la famiglia e spostandosi da un posto all’altro: è la scelta più rischiosa e faticosa da sostenere, perché basta niente per tradirsi o essere sospettati.

Alcuni provano anche a raggiungere la Palestina mandataria, ma per ironia della sorte, saranno proprio gli inglesi, che in Europa combattono il nazismo, a respingerli per mantenere al minimo le quote d’immigrazione ebraica e non entrare troppo in conflitto con la forte componente araba.

Un migliaio fra i fratelli d’Italia ebrei, scelgono invece di unirsi alla Resistenza.

Alcuni studiosi della resistenza ebraica italiana amano parlare di una “naturale vocazione ebraica” all’antifascismo, un’affinità radicata nei profondi legami con il liberalismo ottocentesco e nei principi di libertà, dell’uguaglianza politica e della giustizia sociale. In realtà anche fra gli ebrei, come fra tutti gli italiani che avevano beneficiato dei principi ottocenteschi, le visioni politiche sono assai diverse. Va però ricordato che fin dagli anni Venti la componente antifascista ebraica è rappresentativa.

Agli antifascisti di sempre si uniscono dunque un migliaio di combattenti, che entrano a far parte attiva della Resistenza armata. C’è chi mette la propria famiglia in salvo in Svizzera e poi torna a combattere e muore prima della liberazione; c’è chi fugge dalle prigioni, persino dai vagoni piombati e sceglie la lotta anziché cercare nuovamente scampo.

Uomini e donne, religiosi e laici, giovani e giovanissimi, come Franco Cesana, che muore a soli 13 anni, ucciso dal fuoco tedesco durante una missione di ricognizione con il fratello.

DETENUTI IN ATTESA DELLA DEPORTAZIONE

Sin dall’entrata dell’Italia in guerra nel 1940, sono circa 4000 gli ebrei che appartengono alle categorie (apolidi, stranieri, non nati in Italia, sovversivi, antifascisti) passibili d’internamento in uno dei circa 400 luoghi di concentramento o di confino (dati riportati da Renzo De Felice nella sua Storia degli ebrei sotto il fascismo) istituiti sull’intero territorio del regno.

Questi campi saranno solo in minima parte adibiti anche alla detenzione di tutti gli ebrei arrestati dopo l’8 settembre 1943. Con la nascita della Repubblica Sociale e l’occupazione tedesca vengono invece creati veri e propri Lager, come quelli della Risiera di San Sabba, a Trieste; quello di Borgo San Dalmazzo, Cuneo; quello di Fossoli, Carpi-Emilia (già campo per prigionieri di guerra) e nel 1944 anche quello di Bolzano-Gries. In questi campi transitano ebrei e altri prigionieri, in attesa di essere deportati. Per gli ebrei la destinazione dall’Italia è soprattutto il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, in Polonia.

Per ragioni di praticità i luoghi che però meglio si addicono alla reclusione degli ebrei subito dopo l’arresto sono le carceri cittadine, o in mancanza di posto, le caserme e altri edifici dove è possibile isolare, detenere, torturare e interrogare a piacere i prigionieri.

Varese, Como, Genova, Torino, Firenze, Ferrara, Roma: le stesse prigioni che ospitano detenuti arrestati per reati comuni diventano l’ultima dimora italiana di migliaia di innocenti di ogni età colpevoli solo di essere nati ebrei.

A Milano, il 10 settembre 1943 i tedeschi requisiscono due raggi, il IV e il V del carcere di San Vittore e i prigionieri ebrei catturati in Lombardia vengono registrati senza nome e senza matricola, solo con un semplice numero progressivo, seguito da una E (ebreo): 1E, 2E…Via, via che il numero di prigionieri è sufficiente per organizzare un trasporto, il raggio si svuota e la numerazione riparte. Le condizioni igieniche sono proibitive, la mancanza di cibo è sistematica, la promiscuità è totale, la violenza, la tortura e l’abuso continuo sono di ordinaria amministrazione. Alcuni sopravvissuti ricordano che gli unici segni di umanità in quel periodo arrivavano da altri detenuti e da qualche guardia carceraria italiana, poiché era vietato persino ai medici di prestare soccorso a un ebreo malato e la pena per chi trasgrediva gli ordini era l’arresto e la deportazione immediata. Come avviene all’eroico agente di custodia, Andrea Schivo, condannato per aver “agevolato detenuti ebrei, soccorrendoli con delle uova, frutta e marmellata”. Morirà in un lager in Germania di stenti e maltrattamenti.

MILANO, 1943-1945, STAZIONE CENTRALE: DAL BINARIO 21 PARTONO I TRENI SPECIALI PER AUSCHWITZ

La Stazione Centrale di Milano è un gioiello dell’architettura eclettica. Viene costruita su progetto dell’architetto Ulisse Stacchini a partire dal 1925 e inaugurata nel 1931, in pieno Ventennio fascista.

La Stazione Centrale di Milano è un gioiello dell’architettura eclettica. Viene costruita su progetto dell’architetto Ulisse Stacchini a partire dal 1925 e inaugurata nel 1931, in pieno Ventennio fascista. La sua imponente eleganza va di pari passo con innumerevoli soluzioni innovative, come la costruzione di un’ampia zona sottostante il piano rialzato dei binari. Si accede a questa area da via Ferrante Aporti 3, sul lato destro della stazione: l’intento è quello di non intralciare il via vai dei passeggeri con le operazioni di carico e scarico delle merci e della posta. Sui binari che la compongono si caricano i vagoni, quindi li si posiziona su un apposito carrello traslatore che a sua volta si muove in un’enorme galleria fino a bloccarsi in corrispondenza di un montacarichi, che mano a mano porta in superficie i carri che comporranno alla fine il treno merci. L’intera operazione avviene nella più totale inconsapevolezza dei passeggeri che affollano la stazione.

Questo stesso metodo, tra la fine del 1943 e l’inizio del 1945 darà modo a tedeschi e repubblichini di formare i convogli speciali, carichi di umanità innocente destinata alla soppressione nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau, o a campi di transito intermedi. Gli ebrei che partono dal binario fantasma denominato Binario 21, vi arrivano su camion telati direttamente dal carcere di San Vittore e vengono caricati come merce di nessun conto fra urla, calci, botte e latrati di cani. Con efficiente violenza e rapidità, ogni vagone è riempito all’inverosimile, all’interno solo un po’ di pagliericcio per terra e un secchio in un angolo. Una volta piombati, i vagoni raggiungono uno dopo l’altro la superficie e quando il convoglio è pronto, senza che nessuno abbia mostrato la minima pietà per i bambini, i vecchi, le donne e gli uomini che vi sono rinchiusi, viene dato il segnale per la partenza. Questo macabro rituale si ripete per 15 volte in poco più di un anno. Il convoglio RSHA partito all’alba del 30 gennaio 1944 con 605 persone è quello dei cui passeggeri si parla nel film, attraverso la testimonianza diretta di uno dei 22 sopravvissuti, Liliana Segre, che allora aveva solo 13 anni e i racconti dei discendenti di chi non è mai tornato. Il viaggio verso Auschwitz- Birkenau richiedeva sette interminabili giorni. A bordo del convoglio non c’erano cibo, né acqua, né servizi igienici, né finestre. Nessuno all’interno del treno sapeva di essere diretto all’inferno.

LISTA DEI CONVOGLI PARTITI DALLA STAZIONE CENTRALE DI MILANO CON DESTINAZIONE AUSCHWITZ, BERGEN-BELSEN, RAVENSBRÜCK E FLOSSENBURG

Il primo convoglio di deportati ebrei diretto ad Auschwitz partì da Milano il 6 dicembre 1943. L’ultimo, il 15 gennaio 1945 e si fermò a Bolzano. Il 27 gennaio 1945, in Polonia, l’esercito russo entrava nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau liberandolo.

(La lista dei trasporti è tratta da L. Picciotto Fargion, Gli ebrei in provincia di Milano: 1943/1945. Persecuzione e deportazione, Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, 1992).

1943

 

6 dicembre

Milano-Auschwitz

1944

 

30 gennaio

Milano-Auschwitz

11 febbraio

Milano-Fossoli (da lì per Auschwitz il 22 febbraio)

30 marzo

Milano-Fossoli (da lì per Auschwitz il 5 aprile)

19 aprile

Milano-Bergen-Belsen

27 aprile

Milano-Fossoli (da lì per Auschwitz il 16 maggio)

14 maggio

Milano-Fossoli (da lì per Auschwitz il 16 maggio)

9 giugno

Milano-Fossoli (da lì per Auschwitz il 26 giugno)

2 agosto

Milano-Verona (da lì per Auschwitz il 2 agosto)

17 agosto

Milano-Bolzano (da lì per Auschwitz il 24 ottobre)

7 settembre

Milano-Bolzano (da lì per Auschwitz il 24 ottobre)

17 ottobre

Milano-Bolzano (da lì per Auschwitz il 24 ottobre)

Giorno e mese ignoti

Milano-Bolzano (da lì per Ravensbrück e Flossenburg il 14 dicembre)

15 dicembre

Milano-Bolzano

1945

 

15 gennaio

Milano-Bolzano