Il fascismo e la deportazione italiana

Tratto da : “Avvicinare la memoria: la deportazione in Europa nei Lager nazisti, a cura di: Fondazione Memoria della Deportazione

Biblioteca Archivio Pina e Aldo Ravelli Centro Studi e Documentazione sulla Resistenza e sulla Deportazione nei lager nazisti ONLUS
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ANED Associazione Nazionale Ex Deportati Politici nei campi di annientamento nazisti

La genesi del movimento fascista

“Fascismo”- è stato osservato - è forse l’unico vocabolo della lingua italiana che è entrato a far parte del lessico politico universale dell’epoca contemporanea. Il fascismo ha creato una nuova ideologia e un nuovo modello politico, a cui si ispireranno a partire dagli anni ’30 numerosi altri regimi in Europa e nel mondo, il più noto dei quali è sicuramente il Terzo Reich di Adolf Hitler.

Nato all’indomani della grave crisi economico, sociale e politica, scaturita dalla Prima guerra mondiale, il movimento fascista viene fondato a Milano nel 1919 da Benito Mussolini, dirigente di spicco della sinistra socialista fino al 1914 quando, schieratosi a favore dell’intervento in guerra dell’Italia, viene espulso dal partito e fonda un proprio giornale “Il popolo d’Italia”. Sotto l’influenza di diverse correnti di pensiero come il nazionalismo, il sindacalismo rivoluzionario, il dannunzianesimo e il futurismo, Mussolini riuscì a coagulare e a indirizzare il malcontento provocato dalla crisi postbellica in ampi settori della popolazione – i reduci, la piccola e media borghesia, i giovani – su un programma di sovvertimento radicale delle istituzioni liberali. Il fascismo, come ebbe a dire Mussolini, nacque da un bisogno di azione e fu azione, di cui carattere primario fu la violenza verbale e fisica contro gli avversari politici e le loro formazioni.

Dopo aver appoggiato l’impresa dannunziana di Fiume (1919), Mussolini si guadagna l’appoggio di vasti settori della borghesia agraria e industriale usando la violenza delle “squadre d’azione”, le “camicie nere”, contro il movimento operaio e contadino e le sue organizzazioni politiche e sindacali. Esponenti politici e militanti liberali, socialisti e cattolici di sinistra sono aggrediti e malmenati nelle strade, le Camere del lavoro, le Case del popolo, le sedi dei giornali come “L’Avanti!”, saccheggiate e distrutte.

Il fascismo appare ormai alla classe dirigente italiana come l’unica forza in grado di tener testa al movimento operaio e di riportare l’ordine nel paese, percorso da fermenti politici di varia natura e scosso da grandi scioperi, come l’occupazione delle fabbriche del 1919-’20. Nel 1921 Mussolini trasforma il proprio movimento in Partito Nazionale Fascista.

Dalla marcia su Roma all’instaurazione della dittatura

Nel 1922, vista la gravissima crisi e instabilità politica e il consenso crescente nei confronti del fascismo, Mussolini organizza il colpo di forza contro le istituzioni liberali.

Il 28 ottobre 1922, i “quadrumviri” De Vecchi, Balbo, Bianchi, e De Bono, guidano una spedizione squadristica di circa 25.000 camicie nere sulla capitale, la cosiddetta “Marcia su Roma”, che il re Vittorio Emanuele III si rifiuta di reprimere militarmente, cedendo alle pressioni di ambienti militari e nazionalisti. Il re non accetta di firmare il decreto di stato d’assedio, che gli aveva presentato il Presidente del Consiglio Facta, e invita Mussolini, rimasto prudentemente a Milano, a venire a Roma per ricevere l’incarico di formare il nuovo governo. Per la prima volta un esponente di un partito di netta minoranza – nel ’21 i deputati fascisti sono appena 25 – diventa Presidente del Consiglio grazie a un atto di forza.

Del primo governo Mussolini fanno parte anche esponenti cattolici e liberali di destra, un radicale e i due “comandanti della vittoria” Diaz e Thaon di Revel, ma i fascisti sono per la verità già in maggioranza; nel Paese godono dell’appoggio pieno della borghesia agraria e industriale nonché del sostegno dei militari, del clero e della monarchia dei Savoia, che in questo modo legittima Mussolini e il fascismo.

All’opposizione si schierano comunisti, socialisti massimalisti, socialisti unitari (guidati da Matteotti e Turati), repubblicani e cattolici antifascisti, come Don Sturzo e De Gasperi.

Anche dopo la nomina di Mussolini a Primo Ministro, il fascismo continua a impiegare la forza contro gli avversari politici, trasformando le camicie nere in un vero e proprio corpo militare, riconosciuto dallo stato, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, MVSN.

Nel 1923 il fascismo modifica la legge elettorale, con la cosiddetta legge Acerbo, che concede alla lista di maggioranza relativa i due terzi dei seggi in Parlamento. Nelle elezioni dell’aprile 1924 la lista fascista, il “listone nazionale”, di cui fanno parte anche esponenti liberali e cattolici, conquista circa il 65% dei voti. Ma le elezioni sono falsate dalle violenze e dalle aggressioni degli squadristi,  che non esitano ad usare i brogli, il manganello e l’olio di ricino per intimidire e coartare la volontà degli elettori.

All’indomani delle elezioni, il deputato socialista Giacomo Matteotti denuncia alla Camera le violenze e i brogli elettorali e chiede l’invalidazione del voto. Questa coraggiosa denuncia insieme a quella di un clamoroso scandalo affaristico-petrolifero, che vedeva coinvolto il fascismo e la stessa Corona, e che il deputato socialista si accingeva a rendere pubblico, segnano la sua condanna a morte. Il rapimento e l’uccisione ad opera di sicari fascisti di Matteotti suscitano profondo sdegno e grande emozione in tutto Paese. I deputati dell’opposizione abbandonano il Parlamento – la  “secessione dell’Aventino” -, chiedendo in questo modo la restaurazione della legalità e un intervento diretto da parte del sovrano contro il capo del fascismo; i giornali reclamano le dimissioni di Mussolini e il fascismo appare in grande difficoltà. Ma la monarchia non toglie il proprio appoggio al fascismo e le opposizioni si dividono, isolate e incapaci di coinvolgere le masse popolari.

Mussolini con il discorso del 3 gennaio 1925 assume su di sé la responsabilità “storica, politica e morale” dell’uccisione di Matteotti e segna l’inizio della dittatura. Il fascismo tra il 1925 e il 1928 instaura un regime totalitario: sopprime la libertà di stampa, scioglie i partiti e i sindacati non fascisti, esautora il Parlamento, istituisce il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che pronuncia numerose condanne, spesso severissime e senza possibilità d’appello, nei confronti degli oppositori politici. Gli imputati condannati dal Tribunale speciale furono 4596, le sentenze capitali 42, di cui 31 eseguite.

Il regime procede quindi alla fascistizzazione in tutti i settori della società, attraverso la scuola, la creazione di organizzazioni di massa come l’Opera nazionale dopolavoro, l’Opera nazionale Balilla, i Gruppi Universitari fascisti e l’uso propagandistico di stampa, radio e cinema. La tessera del partito viene imposta per qualsiasi carriera o lavoro negli ambienti pubblici. Ai docenti . imposto un giuramento di fedeltà al regime e i testi scolastici sono controllati dalla censura. Lo sciopero diventa un reato nel nuovo Codice Penale Rocco.

Dall’ aggressione all’Etiopia alla Seconda guerra mondiale

Conquistato il pieno controllo e il consenso nel paese attraverso l’uso massiccio della violenza, il monopolio sui mezzi di informazione e una martellante propaganda politica, Mussolini ottiene anche il riconoscimento del suo ruolo da parte della Chiesa cattolica, con la quale nel 1929 firma i Patti Lateranensi, che ristabiliscono i rapporti fra lo stato italiano e la santa Sede, interrotti dopo il 1870.

Conquistato il pieno controllo e il consenso nel paese attraverso l’uso massiccio della violenza, il monopolio sui mezzi di informazione e una martellante propaganda politica, Mussolini ottiene anche il riconoscimento del suo ruolo da parte della Chiesa cattolica, con la quale nel 1929 firma i Patti Lateranensi, che ristabiliscono i rapporti fra lo stato italiano e la santa Sede, interrotti dopo il 1870. Riconosciuto e apprezzato anche all’estero, Mussolini decide che sia arrivato il momento di conquistare anche per l’Italia un impero coloniale. Nel 1935 viene decisa la guerra all’Etiopia, conclusasi nel 1936 con la proclamazione dell’Impero; a partire dal ’36 l’Italia fascista interviene, a fianco della Germania nazista, nella guerra civile spagnola, a fianco del generale Franco contro i repubblicani e infine nel 1939 occupa l’Albania.

La conquista dell’Etiopia portò alla diffusione di una cultura razzista, sostenuta dal concetto della superiorità della razza e dalla missione civilizzatrice che spettava all’Italia. Sulla scia della campagna antisemita lanciata dalla rivista pseudoscientifica “La difesa della razza” e dal “Manifesto degli scienziati razzisti del 1938”, il Consiglio dei Ministri vara le prime norme antiebraiche a cominciare dal regio decreto del 5 settembre1938 concernente i provvedimenti da prendere per la difesa della razza nella scuola fascista. È l’inizio della persecuzione degli ebrei che si protrarrà fino al 1945 e che riguarderà tutti gli ambiti della vita sociale. Il 10 novembre del 1938 il Consiglio dei Ministri approva le leggi “razziali” contro gli ebrei: esclusione dall’insegnamento, divieto di iscrizioni a scuole statali, espulsioni dalle Accademie, Istituti Scientifici, eccetera.

Nel 1939 Mussolini ed Hitler sottoscrivono il cosiddetto “Patto d’Acciaio”, con il quale l’Italia e la Germania si impegnano a intervenire militarmente nel caso che uno dei due Paesi sia coinvolto in un conflitto. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’Italia proclama la “non belligeranza” ma, dopo il crollo delle difese francesi, Mussolini nel giugno del ’40 dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. Iniziano la “guerra parallela” dell’Italia, con offensive in Cirenaica, in Somalia, in Eritrea, e nei Balcani. Nel giugno 1941, Hitler aggredisce l’Unione Sovietica e Mussolini manda la prima divisione di militari a fianco dell’alleato tedesco. Il 7 dicembre 1941 il Giappone, legato a Germania e Italia nell’Asse Roma-Berlino-Tokio, attacca la base americana di Pearl Harbour, provocando l’ingresso in guerra a fianco di Francia e Gran Bretagna degli Stati Uniti.

I ripetuti insuccessi bellici riportati da Mussolini sui vari fronti e la grave crisi economica e sociale che attraversa l’Italia minano le basi del consenso al fascismo: nel marzo del 1943 cominciano i grandi scioperi politici nelle più importanti fabbriche del Nord Italia – Milano, Torino, Genova, Brescia, che nei fatti segnarono l’inizio della rivolta popolare contro il fascismo.

La rappresaglia del regime fascista non si fece attendere: migliaia di operai che avevano partecipato agli scioperi vennero deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.

Il 10 luglio gli Alleati sbarcano in Sicilia e la occupano senza trovare resistenza; il 25 luglio, dopo una drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo in cui era stata votata la sfiducia a Mussolini, il re lo destituisce e lo fa mettere agli arresti a Campo Imperatore, sul Gran Sasso.

Vittorio Emanuele III nomina capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio, comandante delle forze armate italiane fino al giugno 1940.

Il nuovo governo Badoglio pur proclamando la propria determinazione nel restare a fianco dell’alleato nazista, procede da un lato ad abbattere le strutture portanti del regime fascista e, dall’altro avvia trattative segrete con gli angloamericani. I tedeschi, visto l’evolversi della situazione italiana, fanno affluire alcune divisioni della Wehrmacht al confine del Brennero.

L’8 settembre 1943, sotto la forte pressione degli angloamericani, viene reso noto via radio il testo dell’armistizio firmato alcuni giorni prima a Cassibile dal governo italiano e dal comando alleato.

La notizia dell’armistizio, resa pubblica senza aver prima preparato un piano di azione militare dell’esercito e di difesa del territorio e della popolazione civile dalla scontata reazione dell’ex alleato tedesco, getterà il paese nel caos più assoluto. Il re e il governo lasciano nella notte Roma e si rifugiano a Brindisi sotto la protezione degli Alleati; la capitale viene circondata dai tedeschi e occupata dopo una dura battaglia contro reparti dell’esercito italiano, cui si erano uniti i primi gruppi della Resistenza armata. L’esercito, abbandonato a se stesso, senza ordini e direttive superiori sia in Italia che sui fronti esteri, si sbanderà senza potersi opporre agli attacchi della Wehrmacht, che pone sotto il proprio controllo circa i due terzi della penisola, da Salerno alle Alpi.

Il 12 settembre ’43 un commando tedesco libera Mussolini dalla prigione sul Gran Sasso e pochi giorni dopo si forma nell’Italia del nord un nuovo stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana (RSI), detta anche Repubblica di Salò dal nome della cittadina sul lago di Garda, capitale del nuovo stato collaborazionista dei nazisti. Nell’Italia meridionale si era invece formato il Regno del Sud, con a capo il re e Badoglio, sotto la protezione degli Alleati. 

L’Italia è divisa in due e gli italiani pure: da una parte si schierano contro i tedeschi e i fascisti loro alleati; dall’altra sostengono gli occupanti tedeschi e il ricostituito regime fascista repubblichino.

Gli anni dal 1943 al 1945 saranno durissimi per il paese e per la popolazione. Circa 600.000 militari italiani vengono fatti prigionieri e deportati in Germania perché si rifiutano di continuare a combattere a fianco dei tedeschi e i tentativi di resistenza vengono stroncati in modo feroce. Molti militari passano all’attività di Resistenza clandestina, altri cercano di tornare a casa e farsi passare per civili, ma anche contro la popolazione civile e le città italiane i comandi tedeschi mettono in atto rastrellamenti, deportazioni, stragi, rappresaglie, incendi e bombardamenti.

A partire dal 1943 inizia anche in Italia la deportazione di massa degli ebrei italiani, ormai sottoposti alle leggi del Terzo Reich.

Nell’Italia centrosettentrionale nascono le prime formazioni armate di resistenza.

Sono gruppi compositi, di cui fanno parte esponenti dei partiti antifascisti, militari sbandati, persone che per la prima volta, dopo vent’anni di dittatura, prendono parte attiva alla vita politica, giovani educati sotto il fascismo ma delusi dal regime e disgustati dalla guerra.