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Rassegna Stampa – 18 Gennaio 2023

Rassegna Stampa – 18 Gennaio 2023

Ho preso a cuore la vicenda inizialmente perché si è svolta tra il Polesine mia terra natia e Milano la città dove sono cresciuto. Una vicenda tragica che rischiava l’oblio perché ormai quasi senza discendenti delle due vittime. In particolare mi ha colpito che l’Avvocato Leo Giro aderente al partito fascista, nel momento tragico delle leggi razziali non rinnego’ l’amicizia con questa famiglia ove lei era di origine israelitica seguendone la tragica fine in un campo tedesco. Ora questa vicenda grazie a Zerbinati e al comitato pietre di inciampo rimarrà viva a indicare la scelta che ogni giorno dobbiamo fare tra il rischio delle barbarie e la civiltà.

Alberto Mattioli

da Corriere della Sera – Milano Cronaca, 18 gennaio 2023

Corriere della Sera - 18 gennaio 2023

LEO E LUCIA

Una storia italiana tra fascismo, antisemitismo e deportazione

Un avvocato (maturità al “Tito Livio” e laurea in Giurisprudenza a Padova) , figlio di avvocato di una città di provincia si trasferisce a Milano per realizzare al meglio le sue aspirazioni nella città italiana che più di ogni altra interpreta l’impetuoso sviluppo della modernità: economica, culturale e politica del Novecento. È un percorso comune a migliaia di italiani appartenenti a qualsiasi ceto e provenienti da ogni parte d’Italia. Un’attrazione fortissima che dal 1901 al 1921 porta gli abitanti della capitale lombarda da 540.000 a 820.000. Leo Giro, così si chiama il giovane avvocato appartenente all’establishment liberale, si inserisce rapidamente nell’ambiente economico e finanziario milanese del comparto assicurativo della “Vecchia Mutua Grandine”, espressione della grande possidenza agraria lombarda e padana. Il suo arrivo a Milano da Badia Polesine (1911), piccola città della provincia di Rovigo, è preceduto, e seguito, da altri conterranei più o meno conosciuti: Argo Cerchiaro, redattore del quotidiano socialista «Avanti! », Eugenio Balzan, prima  giornalista del «Corriere della Sera», poi direttore amministrativo del quotidiano più diffuso d’Italia, a seguire Aldo Finzi, già pilota con D’Annunzio nel volo su Vienna (agosto 1918) e giornalista al «Popolo d’Italia», prima di seguire Mussolini a Roma e condividerne le scelte fino al delitto Matteotti. Leo Giro arriva a Milano alla vigilia della conquista del comune meneghino da parte del PSI di Turati e alla vigilia della “Grande Guerra” cui parteciperà come ufficiale di Artiglieria.

Un altro nucleo famigliare giungeva a Milano nell’anteguerra, anch’esso dalla provincia veneta, da Cittadella, città murata della provincia di Padova. È Giuseppe Malatesta, dottore in Chimica (liceo al “Canova” di Treviso e laurea a Padova), con ruoli di responsabilità al «Laboratorio Chimico Compartimentale delle Dogane e delle Imposte Indirette» di Milano e successivamente, durante la guerra, dirigente della neonata «Società Chimica Lombarda A.E. Bianchi di Rho». Giuseppe Malatesta dopo una breve esperienza a Marghera, tornato a Milano, assume il 50% delle azioni del «Laboratorio di Chimica Applicata “A. Gabbiani”» sito in via Carlo Poma. I Malatesta, Giuseppe e la moglie Clara, sono genitori di due figli: Lamberto (1912-2007) e Giuliano (1917-1986), il primo, destinato a diventare nel secondo dopoguerra un chimico di notorietà europea.

Il dopoguerra milanese – e italiano – è segnato dalle turbolente vicende politiche e sociali che vedono l’affermazione del fascismo e la costruzione del regime. Le elezioni politiche (1919, 1921, 1924) e amministrative (1920, 1922) si susseguono tumultuosamente fino alla stabilizzazione politica e sociale del Paese attraverso la dittatura fascista.

La breve permanenza a Marghera era stata l’occasione per Giuseppe Malatesta di conoscere uno zio (fratello della madre) di Leo Giro. Al suo rientro a Milano, Malatesta ne richiede le prestazioni  in qualità di avvocato d’affari. Il rapporto professionale, negli anni diventa anche familiare, tanto che Leo sarà primo testimone al matrimonio di Lamberto Malatesta, il figlio più anziano di Giuseppe. I figli di Giuseppe Malatesta frequentano i licei più prestigiosi di Milano – come il “Parini” –, e l’università. Sarà qui alla Facoltà di Scienze, Corso di chimica che Lamberto Malatesta conoscerà la sua futura moglie: Lucia De Benedetti.

Israele Augusto De Benedetti – padre di Lucia – giunge a Milano, da Torino, per occupare nel 1911, l’incarico di medico all’Ufficio Igiene del Comune di Milano ottenuto dopo un concorso brillantemente superato. La figlia Lucia – nata a Milano nel 1912 – frequenta il Liceo “Manzoni” e successivamente l’Università dove incontra Lamberto Malatesta. Dopo la laurea in chimica, che ottengono ambedue nel luglio 1935, i due ragazzi si sposano. Lucia, appartenente a una famiglia di fede israelitica, non era battezzata, ma ricevuto il battesimo e la cresima, il matrimonio avviene in “San Babila” nel dicembre 1936. Lamberto intraprende, con successo, la carriera universitaria, mentre Lucia si ritaglia il ruolo di donna di casa. Nulla sembrava ostacolare i progetti e il futuro di queste persone la cui adesione al regime, e l’iscrizione al PNF,  era connaturata alla loro condizione di classe.

Ad offuscare un futuro, che sembrava sereno e senza scosse, giunsero le leggi razziali del 1938 che il regime fascista emana quasi improvvisamente. L’antisemitismo in Italia, da corrente culturale e politica minoritaria, diventa politica ufficiale dello Stato. L’esistenza di Lucia e dei genitori è gravemente compromessa da questo evento: il padre Israele Augusto è licenziato dal primo gennaio 1939, dal suo incarico di Capo Sezione dell’Ufficio d’Igiene del Comune di Milano. Nel frattempo a Lucia e Lamberto hanno una figlia, Anna, che nasce il 13 giugno 1940, due giorni dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia a Francia e Gran Bretagna. Lamberto per accentuata miopia evita l’arruolamento.

La guerra rende la vita difficile, e spesso luttuosa a tutti gli italiani, in particolare da quando il corso del conflitto sfavorisce le forze armate italiane alleate con la Germania nazista. Dall’ottobre 1942 i bombardamenti angloamericani colpiscono i centri industriali italiani, e Milano è tra i primi obiettivi. Nell’estate del ’43 – luglio e agosto – il capoluogo lombardo è fortemente colpito dai raid aerei, che incontrastati, devastano la città. I Malatesta e i De Benedetti  lasciano Milano, Lamberto e Lucia trovano casa a Varese. Leo Giro rimane invece rimane in città. La caduta di Mussolini il 25 luglio sembrava promettere la fine della guerra, ma l’armistizio annunciato l’8 settembre da Badoglio alla radio, scatena l’iniziativa tedesca con l’occupazione della città. È l’inizio dell’arbitrio assoluto, la caccia ad ebrei e antifascisti diventa l’obiettivo dei tedeschi a cui concorrono i fascisti ritornati sulla scena con la proclamazione della Repubblica sociale italiana. Inizia la Resistenza all’occupazione  nazifascista.

I genitori di Lucia si nascondono e lei stessa cerca di non farsi notare. Lamberto, quotidianamente scende da Varese a Milano per insegnare all’Università, a volte, con Lucia, è ospite di Leo Giro a Milano. È in una di queste occasioni che la SS tedesca fa irruzione a casa di Leo arrestandolo assieme a Lucia. Condotti a San Vittore, dopo dieci giorni sono trasferiti al campo di concentramento di Bolzano/Gries. L’evento è traumatizzante sia per Lamberto, che ricorre invano ad ogni mezzo per far liberare Lucia, sia per i familiari di Leo – la madre e la sorella, tornate a Badia Polesine prima della guerra –, che interessano del caso gli ambienti dell’amministrazione comunale milanese attraverso un cugino immigrato a Milano prima della guerra e nipote della madre di Leo. Una lettera a firma della madre è inviata a Mussolini, senza risultato.  Prima Lucia e poi Leo sono deportati nei lager in Germania da cui non faranno ritorno.

Una storia di persone e di Milano, nell’Italia dalla Grande Guerra al 1945. Speranze, illusioni e certezze sono bruciate dalla follia militarista e razzista del regime fascista che trova nell’alleato nazista, prima il complice e poi il padrone del suo destino, fino alla tragedia finale della Shoah quale prodotto dell’antisemitismo e del culto del superuomo che accomunava i due regimi. La ricerca ha cercato di sottrarre dall’oblio le vicende di queste famiglie appartenenti alla classe media delle professioni e degli affari «che si riflette nel fascismo come specchio di una borghesia benestante e colta, solo casualmente partecipe del fascismo, palesemente incurante della dittatura, del suo peso e delle sue catene». E proprio per questo, la deriva “totalitaria” del regime, lo scoppio della guerra e le sue tragiche conseguenze, le coglie impreparate di fronte a tragedie che fino a ieri sembravano essere loro estranee e da cui invece sono drammaticamente travolte.